Eppure ero certa di aver vissuto

RSA… Eppure ero certa di aver vissuto tempi migliori di questi.
Anche se lassù, nella mia testa, da qualche settimana c’era un gran trambusto e facevo fatica a mettere in ordine le cose.
Colpa della vecchiaia?
Forse.
Anche se…
Questa nuova casa era molto più grande della mia, anche se qui eravamo in tanti.
Tutti anziani.
Diciamo pure vecchi.
Non era poi così male, in fondo.
Nella sala al primo piano c’era sempre qualcuno con cui fare due chiacchiere, oppure qualcun altro per una partita a carte.
Anche se tenere a mente tutti quei numeri, quei simboli, non era affatto facile.
Sempre colpa della vecchiaia?
Forse.
Anche se…
Mio figlio mi voleva bene.
Sua moglie invece no.
Eppure ero certa di aver vissuto
E quando ero rimasta sola, quando il mio povero marito aveva deciso di averne avuto abbastanza della sofferenza, loro due avevano dovuto prendere una decisione importante.
Li avevo sentiti litigare, mandarsi addirittura a quel paese.
Perché il mio ragazzo voleva che andassi a vivere con loro.
Non che la cosa mi entusiasmasse granché, per la verità.
Tuttavia lei, sua moglie, non ne voleva sapere di avere tra i piedi un’anziana, diciamo pure una vecchia, come me.
Così, per evitare un più che probabile divorzio, avevo fatto un passo avanti e alzato la mano.
– Io vado – avevo detto a testa alta.
E qualche giorno più tardi era stata proprio quella maledetta testa a tradirmi, a rendere ogni cosa meno tangibile, meno reale, insomma “meno tutto”.
Così ero finita in questa grande villa, ad attendere il mio momento.
Di tanto in tanto mi piaceva rimanere da sola in disparte nella mia stanza, seduta sulla poltrona a osservare il mondo dalla finestra.
Un mondo, il mio, che sembrava poter implodere su se stesso da un momento all’altro, senza lasciare traccia di sé.
Riflettevo sulla vita e sulla morte, nonostante lassù (nella mia testa) continuava a esserci un gran trambusto, e certi ragionamenti non riuscivo più a farli senza farmi venire l’emicrania.
Colpa della vecchiaia?
Forse.
Anche se…
Mio figlio veniva a trovarmi abbastanza spesso.
Ci sedevamo su una panchina nel parco, sempre la stessa, e facevamo lunghe chiacchierate.
Le cose tra lui e mia nuora avevano ripreso a funzionare.
Merito mio, anche se non lo avrei mai ammesso.
Lei non venne mai a farmi visita.
E la cosa non mi dispiacque granché.
Poi arrivò il giorno in cui mi resi conto che non ce ne sarebbe stato un altro.
Lo so che sembra impossibile, ma per me fu così.
Quella mattina mi svegliai più tardi del solito, io che ero la più mattiniera anche tra i vecchi.
Come se l’ultimo sonno, prima di quello eterno, dovesse essere per forza differente, unico nel suo genere.
Feci colazione e tornai nella mia stanza.
Poi mi lasciai cadere sulla poltrona, dando le spalle alla finestra.
E quando mi girai per dare un’ultima occhiata al mondo, lui mi sorrise e io seppi che sarebbe andato tutto bene.
Bene davvero.
E la vecchiaia?
Una questione superata.
E non ebbi alcun “anche se” da dichiarare.
Alessandro Casalini